Un buco di posto di 2 metri e mezzo di larghezza, 32 di lunghezza e 7 di altezza. El hueco, il buco, lo chiamava e lo chiama tutt’ora Ernesto Bedmar. È questo il nome dell’architetto che da quell’originaria cupa strettoia, usata a lungo come deposito (per quanto deposito con vista sul Palazzo di giustizia di Cordoba, in Argentina), è riuscito a tirare fuori El Papagayo, un ristorante di design accogliente, funzionale e completo. Impensabile inizialmente. Eppure è diventato proprio così.
Complice l’influenza del mondo asiatico sull’architetto, che viveva a Hong Kong e che aveva visitato più volte il Giappone, Bedmar aveva imparato a guardare gli spazi con occhi differenti, aveva imparato a vederli come li vedono in Asia, a vederli, cioè, come potenziali da sfruttare, valorizzare, trasformare a prescindere dalle dimensioni.
El Papagayo: da strettoia di passaggio a ristorante di design
Nel cuore argentino di Cordoba l’architetto Ernesto Bedmar realizza un accogliente indirizzo culinario, nato dalla trasformazione di un corridoio di pochi metri quadrati
Con questi occhi ogni luogo, ambiente, anche minuscolo locale minuscolo può diventare un progetto unico, “mágico”, secondo il mago-architetto. Che con El Papagayo l’ha dimostrato.
El hueco aveva non solo delle dimensioni ridotte, ma anche delle proporzioni scomode: era una sorta di corridoio lungo e stretto. Per di più era buio, estremamente buio, a causa del tetto in cemento che lo “chiudeva”.
La prima azzeccata mossa fu sostituire il vetro al cemento in modo da valorizzare l’altezza del luogo, far entrare luce naturale e dare respiro al locale. A seguire la scelta di mantenere le pareti in mattone risalenti al 1870 così come erano: calde, autentiche, d’epoca. A quel punto il progetto prevedeva la creazione degli ambienti che mancavano: cucina, bagno, sala e studio per il titolare, Javier. Come fare? Con l’ausilio di vari accorgimenti tecnici e l’inserimento di spazi ritagliati nello spazio, Bedmar ricavò tutti i locali necessari a soddisfare le molteplici necessità e li dispose su due livelli, tutti su uno stesso lato. Grazie al rivestimento in legno scelto, diventavano anche la sponda moderna a stretto contatto con quella antica. Di qui il contrasto tra vecchio e nuovo, tra design e non-design che oggi tanto colpisce all’interno del Papagayo. A completare l’opera il tocco e il gusto di Lucía Roland di Capo Estudio, architetto specializzato in interior design. Roland scelse Bandada de Santiago Lena come autore delle opere d’arte e Gonzalo Viramonte per le fotografie; puntò su complementi d’arredo essenziali, prodotti di design lineari, oggetti non ingombranti e poco appariscenti, fatta esclusione per i punti luce. Tavoli e sedie in legno naturale dalle forme geometriche, banchi e scaffali per chef e camerieri abbinati; lampadari di design a sospensione dai volumi ampi e dalle linee avvolgenti, affiancate a punti luce minimal di ultima generazione. E poi il colpo di genio: un’installazione che, formata da simil nuvole o piume, pende dal soffitto in vetro, creando un effetto di leggerezza.
Ecco un progetto di interior design unico, un luogo davvero “mágico”, altro che buco.
Credits photo: El Papagayo
INFO: bedmarandshi.com